A dieci anni dalla sua emanazione, la legge 38/2010 si conferma il cuore del dibattito in ambito di cure palliative anche al tradizionale Forum d’autunno, organizzato da Mano Amica.
Perché? Semplice: questo pilastro normativo ha consentito un passaggio storico. Dall’assistenza palliativa relegata solo alle ultime fasi, si è passati a un processo per cui man mano che la malattia prosegue, l’approccio palliativo entra nel percorso della malattia fino ad avere sempre più importanza.
Sono passati diversi anni dalla diffusione della “Carta dei diritti dei morenti” del 1997, promulgata dal comitato etico della storica Fondazione Floriani; tutti i diritti espressi da quello storico manifesto sono ancora veri, ma focalizzati sul paziente in fase terminale. Le cure palliative sono ancora questo ma non sono più solo questo.
La definizione di cure palliative va integrata: la comunicazione, il controllo della sofferenza, le volontà del malato e il suo coinvolgimento nel processo decisionale si attivano in fasi precedenti del percorso della malattia.
L’elemento sui cui bisogna soffermare oggi l’attenzione, tra tutti i provvedimenti che sono stati presi in questi dieci anni, è il più recente: l’accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2020, che ha recepito una proposta di accreditamento delle reti di cure palliative, giacente tra i meandri della nostra politica da almeno un paio d’anni, e che rappresenta un decisivo salto di visione. Significa uscire dalla logica semplicista di accreditamento dei servizi ed entrare in una logica più ampia di rete. È sulla rete che bisogna ragionare, è con la rete che bisogna fare i conti. Il provvedimento si adegua al nostro stato di cose, in termini di avanzamento delle terapie e di invecchiamento della popolazione; non parla di malattie terminali, ma di condizioni di cronicità complesse e avanzate, che vedono coinvolto lo specialista d’organo, il medico di famiglia e il responsabile palliativista man mano che aumenta la complessità della situazione del malato.
E se non si parla di malattia e di condizioni patologiche ma di condizioni di cronicità complesse siamo nel campo di quello che è il pane quotidiano di tutta la gestione sanitaria. Nelle criticità ricorrenti si identifica l’obiettivo di cura delle reti e la tipologia di malati che la rete deve prendere in carico. Il provvedimento indica reti regionali che coordinano le reti locali. Sono previsti i responsabili delle reti locali e altre figure; ed è identificato un coordinatore. A disposizione ci deve essere un sistema informativo performante per coordinare la rete e monitorare indicatori di quantità e di qualità dei pazienti presi in carico. Sulla valutazione multidimensionale si programma il servizio e nel provvedimento si parla chiaramente della necessità di formazione continua per la gestione di tutte le componenti: non ci si può improvvisare palliativisti; medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, assistenti sociali, assistenti spirituali e volontari hanno bisogno di formazione costante per la gestione delle complessità.
La rete locale è lo strumento operativo con cui si entra dentro i bisogni della popolazione. Deve essere garantita l’accoglienza, punto sempre delicato e spesso critico per il sistema sanitario. Malati e famiglie sono spesso costretti a cercarsi da soli chi deve dare le risposte ai loro bisogni. Tempestività e flessibilità sono caratteristiche delle cure palliative. Le rigidità burocratiche, i tempi prefissati, le modalità standard, le valutazioni “una volta alla settimana” di alcune strutture concettuali di gestione pensate per una cronicità non complessa e non con criticità ricorrenti, non sono più in linea con le necessità delle cure palliative. Che invece devono rompere il muro fra ospedale e territorio e hospice. I malati con cronicità passano continuamente dall’ospedale al domicilio, e nuovamente dall’ospedale alla struttura protetta, a volte in hospice. Quindi è indispensabile creare un percorso il più fluido possibile.
Erroneamente parlando di cure palliative si pensa subito all’hospice. L’hospice è un tassello importante delle cure palliative, ma gestisce una fetta minoritaria dei malati, quella parte che non può essere tenuta a casa. Il focus delle cure palliative continua e deve continuare a essere il domicilio; quindi quello dell’assistenza domiciliare è un motore fondamentale per far volare l’aereo delle cure palliative. L’assistenza domiciliare comprende ora le strutture residenziali, le RSA e RSD, fondamentali per quella gran parte di cronicità che non possono essere gestite in hospice o a casa.
Il malato deve poter passare dall’assistenza base a quella specialistica a seconda dei bisogni che sviluppa, ed è compito della rete locale coordinare tutte le attività delle cure palliative nei vari setting assistenziali. Le cure palliative sono un LEA; l’accordo Stato-Regioni del 27 luglio scorso ne recepisce le specificità ed è lo strumento che deve fare decollare le cure palliative dove stentano a decollare; deve farle irrobustire dove sono già cresciute, deve farle nascere dove non ci sono ancora, perché – non è certo il caso di Feltre o di Belluno – ma ci sono aree del nostro Paese dove le cure palliative ancora non operano o sono appena state attivate.
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